La decretazione d'urgenza e la Costituzione ai tempi del Covid-19
PoliticaLe restrizioni della libertà devono essere previste dalla legge, il Dpcm non è lo strumento costituzionalmente previsto: arriva la prima sentenza
L’intensificarsi della situazione emergenziale che vive il
nostro paese ha posto e pone tutt’ora, un’attenta analisi giuridica alla
decretazione di urgenza che il Governo italiano sta attuando in questi giorni
di criticità.
Decretazione
di urgenza che incide su diritti fondamentali della Costituzione che, per
l’ennesima volta, viene stravolta nei suoi principi fondamentali con sommo
rammarico degli illustri padri costituenti.
Ma andiamo
con ordine e ricostruiamo la situazione.
La situazione attuale
L’epidemia (per non utilizzare il termine usato dall’O.M.S. di Pandemia,
per non spaventare i lettori) di Covid19 nel nostro Paese ha assunto e assume
ogni giorno, delle proporzioni importanti e preoccupanti sotto plurimi profili.
Tra i tanti profili preoccupanti, si vuole sottolineare la vicenda in essere da
un punto di vista giuridico – costituzionale. Si vogliono tralasciare qui le
statistiche e i numeri poiché non è la sede adatta e perché questi sono in
continuo aggiornamento ma è importante, ai fini del presente articolo,
ripercorrere le tappe di detta diffusione.
In attesa dei dati del Meridione a seguito della “grande fuga” (per
ricordare il noto film del 1963 di Sturges) è noto che le regioni più colpite,
per ora sono la Lombardia, l’Emilia e il Veneto e sin da subito è apparso
chiaro al Governo che la situazione emergenziale che si profilava più di un
mese fa in quei luoghi, comportava la scelta di utilizzare una normativa
emergenziale d’urgenza, al fine di contenere la diffusione del virus e
contrastare la debacle economica imminente.
Fin dai primi giorni il Ministero della Salute ha cominciato a varare
diversi D.M. fino alla deliberazione del C.d.M. del 31 gennaio u.s. che
dichiarava lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale relativo al
rischio sanitario connesso alle diverse patologie respiratorie gravi causate da
agenti virali altamente trasmissibili che iniziavano ad interessare i vari
nosocomi del nord Italia.
Va ricordato da subito che l’art. 24 del D.lgs. 1/18 sulla Protezione
civile autorizza il Governo generalmente inteso, all’utilizzo di tale strumento
in caso di emergenze nazionali.
Per mero tuziorismo si riporta il testo dell’art. 24 suddetto: “[…]
1. Al verificarsi degli eventi che, a seguito di una valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile sulla base dei dati e delle informazioni disponibili e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, presentano i requisiti di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l'intesa, delibera lo stato d'emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualita' degli eventi e autorizza l'emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 25. La delibera individua, secondo criteri omogenei definiti nella direttiva di cui al comma 7, le prime risorse finanziarie da destinare all'avvio delle attivita' di soccorso e assistenza alla popolazione e degli interventi piu' urgenti di cui all'articolo 25, comma 2, lettere a) e b), nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi fabbisogni e autorizza la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44.
2. A seguito della valutazione dell'effettivo impatto dell'evento calamitoso, effettuata congiuntamente dal Dipartimento della protezione civile e dalle Regioni e Province autonome interessate, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, il Consiglio dei ministri individua, con propria deliberazione, le ulteriori risorse finanziarie necessarie per il completamento delle attivita' di cui all'articolo 25, comma 2, lettere a), b) e c), e per l'avvio degli interventi piu' urgenti di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, autorizzando la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44. Ove, in seguito, si verifichi, sulla base di apposita rendicontazione, che le risorse destinate alle attivita' di cui alla lettera a) risultino o siano in procinto di risultare insufficienti, il Consiglio dei ministri, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, individua, con proprie ulteriori deliberazioni, le risorse finanziarie necessarie e autorizza la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44.
3. La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non puo' superare i 12 mesi, ed e' prorogabile per non piu' di ulteriori 12 mesi.
4. L'eventuale revoca anticipata dello stato d'emergenza di rilievo nazionale e' deliberata nel rispetto della procedura dettata per la delibera dello stato d'emergenza medesimo.
5. Le deliberazioni dello stato di emergenza di rilievo nazionale non sono soggette al controllo preventivo di legittimita' di cui all'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni.
6. Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell'articolo 26, subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell'articolo 110 del codice di procedura civile, nonche' in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni gia' emanate nella vigenza dell'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, gia' facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 25, comma 7. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell'articolo 25, comma 7, siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati.
7. Con direttiva da adottarsi ai sensi dell'articolo 15 sono disciplinate le procedure istruttorie propedeutiche all'adozione della deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale e i relativi adempimenti di competenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome e del Capo del Dipartimento della protezione civile. […]”.
Successivamente a tale deliberazione del 31 gennaio venivano emanati il Decreto
Legge n. 6/2020, poi convertito nella Legge 13/20, e diversi altri D.P.C.M. del
1, 8 10 e 12 marzo u.s., decreti di attuazione della legge 13/20.
Come si nota dal lasso temporale di varo dei suddetti decreti del
Presidente del Consiglio dei Ministri, gli stessi sono stati emanati in gran
numero ed in breve tempo, in conseguenza del progressivo diffondersi del
Covid19 che trasformava in zone “rosse” le regioni del nord nelle diverse
provincie, fino al decreto che dichiarava l’intera nazione “zona protetta”.
Il Decreto del 10 marzo, quindi, estendeva a tutto il territorio nazionale
le limitazioni previste da quello dell’8 marzo 2020.
I limiti alle libertà costituzionali
Come oramai tristemente noto, le limitazioni e le restrizioni previste dai
suddetti decreti incidono su diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
Nello specifico, gli artt. della Costituzione più incisi dai suddetti
provvedimento sono il 16 ed il 17.
L’art. 16 prevede: “[…]
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza […]”.
L’art. 17 prevede: “[…]
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. […]”.
Queste norme vanno lette, a parere di chi scrive, alla luce delle misure
restrittive applicate in merito alla chiusura degli esercizi commerciali e per
la ristorazione oltre alle restrizioni imposte alla libera circolazione delle
persone pena le sanzioni penali e amministrative previste dal decreto.
Quanto all’art. 16, il costituente ha voluto tutelare la libertà di
circolazione quale articolazione della libertà personale prevista dall’art. 13
Cost.
È importante ricordare il testo dell’art. 13 Cost.: “[…]
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto […]”.
La libertà personale rappresenta il diritto fondamentale più importante, e
consiste essenzialmente nel diritto della persona a non subire coercizioni,
restrizioni fisiche ed arresti. Esso si traduce dunque in primis in una tutela
avverso gli abusi dell'Autorità e, specularmente, costituisce l'indispensabile
condizione per poter godere dell'autonomia ed indipendenza necessarie per
esercitare gli altri diritti fondamentali.
Fatta questa premessa, la ratio legis dell’art. 16 è,
quindi, quella di preservare i singoli dalla possibilità che la libertà di
circolazione sia limitata per motivi politici, ciò sulla scorta di quanto era
accaduto nella vigenza del regime fascista.
L'articolo 16, quindi, afferma la libertà dei cittadini di poter circolare
e soggiornare liberamente nel territorio della Repubblica, salvo le limitazioni
della legge per motivi di sanità e sicurezza. Salvo gli obblighi di legge,
inoltre, ogni cittadino può uscire e rientrare dal territorio della Repubblica.
Circolazione vuole intendersi come la libertà di spostarsi senza limiti,
all’interno dello Stato e tale norma va letta in combinato disposto con l’art.
120 Cost. che impone alle Regioni di non vietare con alcun provvedimento tale
libertà.
Da una attenta lettura si può evincere che quest’ultima discende o si
inserisce nella più ampia tutela sovranazionale prevista dall’ordinamento
comunitario dove viene riconosciuta la libertà di circolazione a tutti i
cittadini dell'Unione (v. art. 21 TFUE; v. art. 45 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea, che lo riconosce anche ai cittadini di paesi
extraeuropei che si trovino legalmente nel territorio comunitario). Le libertà
di circolazione e stabilimento sono, inoltre, rafforzata dall'Accordo di
Schenghen.
Per quanto concerne i cittadini dell'Unione Europea, essi godono anche
della libertà di stabilimento, vale a dire il diritto di svolgere, senza
restrizioni, attività lavorative di qualsiasi tipo.
Solo i dipendenti pubblici subiscono delle restrizioni legate allo status di cittadino ma
solo quando necessario per garantire il buon andamento della PA ai sensi
dell’art. 97 Cost.
Quindi, come per l’inviolabilità della libertà personale di cui all’art.
13, le limitazioni della libertà di circolazione devono seguire l’inderogabile
principio della riserva di legge, ovvero la competenza esclusiva della
legislazione ordinaria a disciplinare le forme di restrizione della libertà di
circolazione.
Altro inderogabile principio è quello della riserva di giurisdizione per
cui solo l'autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi (habeas corpus) ovviamente con
annesso obbligo di motivazione.
Ai fini del presente articolo occorre specificare che in merito alla
riserva di legge, essa è una riserva relativa per cui le limitazioni alla
circolazione sono certamente possibili per motivi di sanità e di sicurezza,
come nel nostro caso.
In merito all’art. 17, va detto che lo stesso, condivide la medesima ratio legis dell’art. 16 e
deriva, anch’esso, all’art. 13 Cost. in merito alla libertà personale di cui la
libertà di riunione ne rappresenta una manifestazione ad uso collettivo.
Nonostante la formulazione della norma, la libertà viene garantita anche
agli stranieri perché ai sensi dell’art. 2 comma 4 del d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286, anche gli stranieri possono "partecipare alla vita pubblica locale" purchè
soggiornino regolarmente sul territorio nazionale.
Tale libertà, a detta della migliore dottrina costituzionalistica, permette
lo sviluppo sociale della collettività, concetto, quest’ultimo, che
riprenderemo più avanti.
I diritti di riunione e di associazione (di cui all'art. 18 Cost.)
costituiscono le c.d. libertà collettive, che si manifestano con il contributo
di più soggetti. La riunione indica il diritto di associarsi in modo non
stabile ma nemmeno fortuito ed esistono varie tipologie di riunioni.
Quella che, ad oggi, interessa è quella che riguarda gli assembramenti,
ovvero riunioni occasionali determinate da una circostanza improvvisa ed
imprevista.
Quindi, a causa dell’epidemia, sono vietate le riunioni organizzate per
fini politici o sindacali, oltre a quelle religiose e quelle spontanee anche in
casa.
Da quanto emerge da questa breve analisi delle norme in commento, viene
limitata la socialità. La socialità è una prerogativa dell’uomo quale “animale
sociale”, è una prerogativa dello sviluppo intellettivo, è una prerogativa del mondo
giovanile. Anche se la socialità non è espressamente sancita dalla Carta
Costituzionale, essa rappresenta un valore desumibile dalle diverse norme che
la compongono.
Sempre in tema di sviluppo in generale e sviluppo sociale in particolare,
altri valori costituzionali sono stati messi a dura prova a causa della
diffusione dell’epidemia quale, ad esempio, il diritto allo studio presso
scuole ed Università. Certamente viene garantito il servizio on line ma tale
servizio in una società, quale quella italiana, più abituata al “cartaceo” ha
delle ripercussioni di notevole valore considerando i molti disagi che studenti
e professori si trovano a vivere.
Tutte queste restrizioni sono state disposte da un Decreto del Presidente
del Consiglio e non da legge ordinaria.
Il Decreto Presidente del Consiglio dei
Ministri e le critiche della dottrina
A questo punto occorre analizzare funditus questo
strumento.
Il Decreto del presidente del consiglio è un atto amministrativo che non ha
forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte
normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti.
Quindi, il d.p.c.m. non costituisce una fonte del diritto autonoma, bensì
la veste formale spesso attribuita ad una fonte secondaria, il regolamento
appunto, qualora essa venga emanata da un Ministro nell'ambito della competenza
del suo dicastero o dal Presidente del Consiglio stesso.
Tale potere regolamentare è disciplinato dall'art. 17 della Legge 23 agosto
1988, n. 400. Secondo i principi generali del diritto amministrativo, tale
articolo costituisce la fonte attributiva del potere che, sulla base del
sistema delle fonti disciplinato dalla Costituzione, non può essere esercitato
in difetto di una specifica attribuzione di potere da parte di legge ordinaria.
Quindi, tali decreti non possono derogare, quanto al contenuto, né alla
Costituzione, né alle leggi ordinarie sovraordinate. Per identico motivo, le
norme regolamentari non possono avere ad oggetto incriminazioni penali, stante
la riserva assoluta di legge che vige in detta materia prevista dall’art. 25
della Costituzione.
Occorre, però, distinguere tra regolamenti governativi in senso stretto e
quelli ministeriali. I primi seguono un procedimento di emanazione cosiddetto
aggravato in quanto essi vengono emanati con Decreto del presidente della
Repubblica (D.P.R.), previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito
il parere del Consiglio di Stato (obbligatorio ma non vincolante). Essi sono
inoltre sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti e
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
I decreti ministeriali o i d.p.c.m. subiscono, invece, un procedimento meno
gravoso e molto più semplificato essendo atti amministrativi (per alcuni di
alta amministrazione) e non fonti legislative.
Ora, il nostro ordinamento giuridico prevede delle misure
restrittive della libertà personale per motivi di salute anche gravi, quali
epidemie, che, in un recente passato, hanno impegnato i dirigenti dello Stato
Nazionale.
Si pensi al colera, al vaiolo o all’AIDS e si pensi al recente dibattito
sulle vaccinazioni obbligatorie. Quindi, tecnicamente, in casi gravi e non
soltanto pandemici o epidemici (si pensi ai TSO), lo Stato può incidere con
forza su diritti costituzionalmente garantiti.
Corre l’obbligo di una specificazione. Tali restrizioni, anche nel passato,
erano attuate solo e soltanto sui soggetti colpiti da tali malattie e non sulla
collettività in maniera così indiscriminata. La situazione
dell’epidemia da COVID 19 è una situazione che rapprea un novumsent importante, in cui, anche
dall’utilizzo numeroso del mezzo del d.p.c.m., è emerso che lo Stato Italiano
è, ancora una volta, risultato assolutamente impreparato.
Ritorniamo al passato sulle note del brocardo storia magistra vitae.
Ai tempi della influenza “spagnola”, che portò con se una lunga scia di
decessi nel mondo, sul finire della prima guerra mondiale, non si adottarono,
in Italia, misure così restrittive e così indiscriminate.
Sembra del tutto chiaro che misure restrittive così importanti
rappresentano, anche sulla scorta delle esperienze passate, un vulnus sensibile
all’inderogabile diritto primario all’autodeterminazione.
In un articolo dell’Eurispes di Vincenzo Macrì del 16 marzo scorso, viene
detta questa frase: “[…] l’art. 32 della Costituzione prevede il
diritto alla salute, ma non l’obbligo alla salute […]”. Come dice
anche l’autore, il limite è uno solo che il danno cagionato a se stessi non
produca danni alla collettività.
Ora, queste limitazioni cosi stringenti adottate con un provvedimento
amministrativo o di alta amministrazione, hanno destato notevoli perplessità
nella dottrina costituzionalistica più attenta. Come sostiene Arturo Diaconale,
l'emergenza può indirizzare o abituare allo “stravolgimento dello Stato di diritto e
della democrazia liberale nel nostro Paese”.
Preoccupa che si è incisa gravemente la libertà delle persone con un atto
amministrativo. Per quanto la ratio dello stesso può
sembrare assolutamente corretta in seno all’esigenza di contenimento della
diffusione del Covid19 per la tutela di tutti, da un punto di vista
strettamente giuridico, questo strumento rappresenta un abuso indiscriminato contrario
allo stato democratico in cui dovremmo vivere.