Coronavirus: perché le sanzioni penali sono incostituzionali
POLITICAÈ vero che le denunce e le sanzioni penali per chi esce di casa sono incostituzionali e tutto verrà sanato?
Siamo a circa 100mila
denunce per aver violato le restrizioni domiciliari imposte dal decreto
coronavirus. Si stima che il 5% della popolazione non rispetti le regole, più
del numero degli infetti. Al di là delle ragioni – note e meno note – che
portano gli italiani a disobbedire alla legge, anche quando il diktat dovrebbe
provenire dalla coscienza piuttosto che dal legislatore, c’è un aspetto che non
è sfuggito ai costituzionalisti e che potrebbe far saltare tutto l’architrave
delle denunce sino ad oggi collezionate. La leva è l’incostituzionalità del
sistema per come delineato da Conte. Il quale è anche professore di diritto,
ragion per cui bisogna presumere che non sia stato così sciocco da sbagliare
tutto. La questione si gioca su un piano interpretativo. Cerchiamo di spiegare
meglio come stanno le cose, sicuri che un giorno, quando tutto questo sarà
definitivamente chiuso, interverranno i giudici, e probabilmente la Corte
Costituzionale, a sanare tutto. In questa breve guida proveremo a spiegarvi se le sanzioni penali del
coronavirus sono incostituzionali.
Indice
·
1 Un decreto del
presidente del Consiglio può limitare la libertà?
·
2 Un decreto del
presidente del Consiglio può imporre sanzioni penali?
·
3 Perché le sanzioni
penali del Dpcm potrebbero essere illegittime?
· 4 Ma allora è sicuro che nessuno pagherà?
Un decreto del presidente del Consiglio
può limitare la libertà?
Sappiamo che le restrizioni alla libertà di movimento dei cittadini sono
state imposte da un Dpcm, ossia un decreto del presidente del Consiglio.
Il primo passo da compiere quindi è capire se un Dpcm possa limitare un
diritto costituzionale come quello ad uscire di casa e ad andare dove si
vuole. Per comprendere la questione bisogna rispolverare l’articolo 16
della Costituzione, secondo cui ogni cittadino può circolare liberamente
nel territorio italiano salvo i limiti imposti dalle leggi. «Dalle leggi»,
appunto, e non da un Dpcm.
Il nostro
sistema di regole giuridiche è come una piramide dove all’apice c’è la fonte
normativa più importante, la Costituzione, e man mano che si scende si trovano
le fonti subordinate: innanzitutto, le leggi, i decreti legge e i decreti
legislativi, dopo i regolamenti ministeriali, tra cui è compreso il Decreto del
presidente del Consiglio. Una fonte subordinata – ossia che si trova in basso –
non può derogare a una norma di rango superiore. Ad esempio, un Decreto
ministeriale non può modificare, abrogare o derogare una legge. Così come una
legge ordinaria del Parlamento non potrebbe mai cambiare la Costituzione.
L’articolo 16 riserva alla legge
la possibilità di limitare gli spostamenti.
Mentre il Dpcm è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i
decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria; serve solo
per dare attuazione a norme già varate dal Parlamento o dal Consiglio dei
ministri.
Ecco
perché i vari Dpcm di Conte avrebbero violato la Costituzione per due ragioni:
la prima è quella secondo cui non avrebbero mai potuto imporre regole diverse
dalla Costituzione (appunto, le limitazioni alla libertà di spostamento);
la seconda è legata al dettato dell’articolo 16 della Costituzione stessa, che
riserva solo alla legge le limitazioni di spostamento, non anche a un
regolamento.
Un
decreto del presidente del Consiglio può imporre sanzioni penali?
Perché
si vocifera che tutte le denunce penali avviate
in questo periodo per violazione delle regole sul coronavirus saranno
annullate? Chi sostiene questa tesi fa leva sull’articolo 25 della Costituzione
secondo cui nessuno può essere punito penalmente se la pena non è prevista da
una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Questo vuol dire,
innanzitutto, che una legge penale sfavorevole non può mai essere retroattiva,
ma nello stesso tempo che nessuna norma che si trova più in basso della legge
nella famosa piramide di cui abbiamo parlato prima può creare nuovi reati o
imporre sanzioni penali ulteriori rispetto a quelle previste dal Codice penale
o dalle altre leggi speciali.
Ebbene, a ben vedere il Dpcm non
introduce nuove sanzioni, ma rinvia a una norma del Codice penale, quindi già
preesistente e avente la stessa forza di una legge, l’articolo 650. In base ad
esso, chiunque non osserva un provvedimento dell’autorità per ragione di
giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro.
Quindi, in teoria, il Dpcm non viola la Costituzione e la
riserva che questa fa in favore della legge nella previsione di reati. Ecco
perché il Governo ha ritenuto di operare nel giusto.
Ma
allora dove sta l’inghippo che non è piaciuto ai costituzionalisti?
Perché
le sanzioni penali del Dpcm potrebbero essere illegittime?
Le
sanzioni potrebbero essere illegittime perché, se anche la norma penale era già
scritta, il fatto che ad essa si ricollega, ossia il comportamento vietato, è
qualificato da una norma di carattere amministrativo e non legislativo. Come
abbiamo infatti detto, il Dpcm è un semplice regolamento e non una legge. Come
tale, viola l’articolo 16 della Costituzione e non
può disporre limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini. Questo significa
che la sanzione penale si accompagna a un comportamento che non può costituire
reato proprio perché non è stato previsto da una norma di legge varata dal
Parlamento.
Ed
allora che succederà a questo punto?
Qualcuno
dice: arriverà la Corte Costituzionale a dichiarare illegittime queste norme e
ci sarà come una sorta di sanatoria. No, questo non è possibile perché la
Consulta giudica solo la legittimità delle leggi e non dei regolamenti come
appunto il Dpcm. Allora, spetterà ad ogni singolo giudice disapplicare il Dpcm.
Il che significa che bisognerà avvalersi di un avvocato e fare opposizione alle
sanzioni penali. Non un unico processo valido per tutti gli italiani ma
ciascuno da sé e per sé.
Insomma, le aule dei tribunali saranno ingolfate. Ma questa è
una storia vecchia.
Ma allora è sicuro che nessuno
pagherà?
Non è detta l’ultima parola.
Anzi. Come abbiamo anticipato, Conte è un giurista, non uno sprovveduto e,
quindi, ha fatto i suoi calcoli. Lui ha giocato d’anticipo e si è creato uno
scudo normativo. Quando il Parlamento era ancora in funzione, è stato
deliberato un decreto legge: questo sì che ha la stessa forza di una legge e,
quindi, può derogare la Costituzione. Si tratta del DL
23 febbraio n.6 (quello che istituiva la zona rossa). In esso, si
conferisce delega al Dpcm ad adottare tutte le limitazioni che potranno essere
opportune per risolvere la crisi sanitaria. Dentro il Decreto Legge si richiama
un’altra norma, che è l’articolo 117 del decreto legislativo n. 112 del 1998
ove si legge che: «In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a
carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono
adottate dal sindaco. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza,
ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza,
spetta allo Stato o alle Regioni in ragione della dimensione dell’emergenza».
Possiamo
allora dire che il Dpcm specifica solo una situazione emergenziale già
affrontata prima con la legge; non istituisce un reato, quindi non ci sarebbe
alcuna violazione della riserva di legge. Il Dpcm, come detto, si limita a
richiamare l’applicazione dell’articolo 650 del Codice penale che, dal suo
canto, punisce l’inosservanza di provvedimenti amministrativi.
Insomma,
l’appoggio normativo che renderebbe possibile sia la limitazione della libertà di
movimento tramite Dpcm, sia con il richiamo a sanzioni
penali potrebbe esserci. Il condizionale è comunque d’obbligo. Saranno
questioni che verranno decise solo quando avremo la testa più libera
dall’esigenza primaria che ora ci cruccia: salvare la pelle.