Gran Sasso, «acqua non sicura» Il giudice conferma il sequestro

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Respinta la richiesta della Ruzzo Reti per la presa da 100 litri al secondo da tempo inutilizzabile L’ordinanza del tribunale: «Pericolo concreto e attuale di contaminazione delle falde acquifere»

TERAMO. Il processo con dieci imputati è in corso, ma i lavori di messa in sicurezza sono ancora al palo tra lentezze burocratiche e appelli inascoltati. In questo contesto restano i procedimenti giudiziari a scandire il presente del sistema acqua Gran Sasso. Nei giorni scorsi il tribunale teramano ha respinto la richiesta di dissequestro avanzata dalla Ruzzo Reti che aveva presentato istanza per utilizzare temporaneamente la presa di captazione idrica che si trova nei laboratori dell’istituto di fisica nucleare, ovvero quella sigillata dall’autorità giudiziaria dal settembre del 2018 (dopo il caso di maggio dello stesso anno dell’acqua non potabile) e da cui deriva la conduttura che porta a scarico (quindi inutilizzati) i 100mila litri di acqua al secondo (operazione, tra l’altro, in corso dal 2017 e quindi da prima dell’inchiesta).


Con una motivazione con cui il giudice Francesco Ferretti, nelle sue vesti di gip, fotografa al meglio la realtà. Scrive il magistrato nell’ordinanza con cui qualche settimana fa ha stabilito, dopo il parere negativo del pm Davide Rosati, che quella presa resta sotto sequestro: «Rilevato che il pericolo concreto ed attuale di nuovi episodi di contaminazione della risorsa idrica, derivante dall’insufficiente livello di sicurezza evidenziato nel decreto di sequestro preventivo in atti, è da ritenersi allo stato inalterato in mancanza di interventi di messa in sicurezza delle falde acquifere oggetto di cautela».

E precisa a questo proposito: «Considerato che la società istante non ha documentato, né allegato, l’esecuzione di interventi idonei a prevenire il rischio di aggravamento o di protrazione delle conseguenze dei reati ipotizzati, con specifico riferimento alla tutela della salute pubblica dal pericolo di contaminazioni delle acque destinate al consumo umano». Aggiungendo: «Rilevato infine che i controlli sulla salubrità delle acque, evidenziati nell’istanza, non possono ritenersi oggettivamente idonei a garantire in assoluto l’assenza di pericolo di contaminazione, trattandosi di verifiche dirette a rilevare agenti inquinanti già presenti nelle acque, in assenza di concrete misure di prevenzione».

Questa la conclusione: «Ritenuto pertanto di non poter autorizzare quanto richiesto, risultando presenti le condizioni di applicabilità del sequestro (come abbondamente illustrate nel provvedimento cautelare in atti), con particolare riferimento al pericolo concreto ed attuale di contaminazione delle falde acquifere, in tal modo rinnovandosi le condizioni di concretezza e attualità delle permanenti esigenze cautelari». Nel processo, che vede imputati i vertici dell’Istituto di fisica nucleare, Strada dei Parchi e Ruzzo, la Procura teramana contesta l’inquinamento ambientale e il getto pericolose di cose. Il processo è nato da un’inchiesta che ha posto sotto la lente di ingrandimento di investigatori e inquirenti l’intero sistema Gran Sasso, evidenziando quella che la Procura ha definito come un permanente pericolo di inquinamento delle acque. Decine di sopralluoghi e videospezioni, le ricostruzioni dei tre super esperti incaricati dalla Procura teramana e le indagini dei carabinieri del Noe hanno evidenziato una realtà fatta di rischi e procedure ignorate.

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