Israele, straordinaria scoperta: il più antico incrocio tra Sapiens e Neanderthal

STORIA

Israele, straordinaria scoperta: il più antico incrocio tra Sapiens e Neanderthal


Un cranio di 140 mila anni fa ritrovato nella grotta di Skhul rivela tracce genetiche ibride: cambia la storia dell'evoluzione umana. Khul, 26 agosto 2025 – Seppur non intero, un cranio di 140 mila anni fa rinvenuto nel 1932 in Israele nella grotta di Skhul, sul Monte Carmelo, si è rivelato oggi una scoperta antropologica di straordinaria rilevanza: rappresenta infatti la più antica prova scientifica dell’incrocio tra Homo sapiens e uomo di Neanderthal. Come si è arrivati a scoprire il mix Appartenente a un bambino di circa cinque anni, per decenni il fossile era stato attribuito a un gruppo primitivo di Homo sapiens, ma nuove analisi morfologiche condotte da un team internazionale guidato dall’Università di Tel Aviv e dal Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica hanno portato a individuare una sorprendente commistione di tratti. Dopo averlo scansionato con il ricorso alla tomografia micro-computerizzata (micro-CT), riuscendo così a condurre un’analisi dettagliata delle sue strutture anatomiche (incluse quelle non visibili come l'orecchio interno), gli studiosi hanno realizzato un accurato modello tridimensionale del cranio per poi confrontarne le caratteristiche con quelle di diverse popolazioni di ominidi. La scoperta ha suscitato enorme interesse nella comunità scientifica per via della chiara evidenza di caratteristiche ibride: il cranio presenta infatti la calotta arrotondata tipica degli Homo sapiens, ma anche la robustezza delle arcate sopraccigliari e la conformazione dell'orecchio interno riconducibili ai Neanderthal. Questa fusione di tratti morfologici suggerisce che l'incrocio tra le due specie potrebbe essere avvenuto molto prima di quanto finora ipotizzato. I ricercatori sono riusciti anche a estrarre minime tracce di DNA fossile dai resti cranici. Le sequenze, seppur frammentarie, hanno confermato una significativa presenza genetica neandertaliana, con una percentuale superiore al 6%, superiore a quella rilevata in altri esemplari coevi. "Ci troviamo di fronte a una scoperta che riscrive parte della storia evolutiva dell'uomo moderno", ha dichiarato la professoressa Miriam Halber, paleoantropologa e coautrice dello studio. "Finora si pensava che gli incroci tra Homo sapiens e Neanderthal fossero iniziati circa 60-70 mila anni fa, in Europa o nel Levante. Questo ritrovamento anticipa di almeno 70 mila anni quel momento". Il contesto geologico e paleoambientale della grotta di Skhul rafforza questa ipotesi. Situata in una zona che in passato fungeva da corridoio ecologico tra Africa ed Eurasia, Skhul è stata per lungo tempo un crocevia di migrazioni e contatti tra popolazioni diverse di ominidi. Le stratificazioni sedimentarie e i resti faunistici rinvenuti suggeriscono un ambiente favorevole alla coabitazione. L'importanza di questa scoperta non risiede soltanto nella sua antichità, ma anche nella sua capacità di illuminare un periodo finora poco documentato della nostra storia evolutiva. Le implicazioni sono profonde: potrebbero indicare una pluralità di episodi di ibridazione tra le due specie, distribuiti in tempi e luoghi diversi. Il progetto di ricerca, durato oltre sette anni, ha visto la partecipazione di istituzioni accademiche di alto profilo, tra cui anche l'Istituto Max Planck per l'Antropologia Evolutiva di Lipsia, e si è avvalso delle più moderne tecniche di ricostruzione forense, genetica e morfologica. Gli scienziati hanno anche collaborato con modellatori digitali per realizzare una possibile ricostruzione del volto del bambino, restituendo un'immagine tridimensionale che mostra tratti misti, in parte umani moderni e in parte arcaici. Le reazioni della comunità scientifica internazionale non si sono fatte attendere. Numerosi esperti hanno espresso entusiasmo per la scoperta, definendola un "game changer" per la paleoantropologia. Tuttavia, come spesso accade nel mondo accademico, non sono mancate voci critiche che invitano alla cautela. Alcuni studiosi ritengono che la morfologia possa riflettere variabilità naturale all'interno dell'Homo sapiens arcaico piuttosto che un vero e proprio incrocio con Neanderthal. Nonostante i dibattiti, la maggior parte degli antropologi concorda sul fatto che questa scoperta arricchisce il quadro complessivo dell'evoluzione umana e sollecita ulteriori studi. In particolare, si auspica l'identificazione di altri fossili simili, magari ancora sepolti nelle grotte della regione o in altre zone di transizione tra Africa ed Eurasia. Per il futuro, il team di ricerca prevede di approfondire l'analisi genetica attraverso nuove tecnologie di sequenziamento del DNA antico, capaci di leggere sequenze più complete anche in campioni estremamente degradati. Inoltre, si prevede l'applicazione di modelli di intelligenza artificiale per la comparazione automatica dei tratti morfologici tra migliaia di esemplari catalogati. La scoperta di Skhul segna dunque un punto di svolta nella conoscenza delle nostre origini. Se confermata da ulteriori ricerche, potrebbe riscrivere le mappe temporali e geografiche dell'evoluzione umana, dimostrando che il nostro passato è ancora più intrecciato di quanto si pensasse. E mentre gli scienziati continuano a scandagliare i misteri del passato, il piccolo cranio del Monte Carmelo ci ricorda che ogni osso, ogni frammento, può custodire le chiavi per comprendere chi siamo e da dove veniamo. A cura della redazione di Giornalismo & Democrazia

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