La donna che si è fusa con un’intelligenza artificiale: “Ha trasformato la mia identità

SCIENZA

La donna che si è fusa con un’intelligenza artificiale: “Ha trasformato la mia identità


L’esperimento di Avital Meshi, biologa comportamentale e artista dei nuovi media, che per mesi ha indossato un dispositivo guidato dall’IA: “Non ero più solo me stessa, ma una versione ibrida”.

Una vita in simbiosi con la macchina

Avital Meshi, biologa comportamentale e New Media Artist di origine israeliana, non è nuova a performance radicali. Ma con il suo ultimo progetto ha superato i confini tra arte, scienza e filosofia dell’identità. Per diversi mesi ha indossato un dispositivo chiamato GPT-me, un’interfaccia collegata a un sistema di intelligenza artificiale in grado di suggerirle in tempo reale cosa dire e come rispondere alle conversazioni quotidiane.

Il risultato? Un’esperienza che lei stessa definisce “trasformativa e disturbante allo stesso tempo”, capace di mettere in crisi la percezione stessa di chi fosse realmente a parlare: Avital o l’IA?

L’esperimento: come funziona GPT-me

Il dispositivo, da lei sviluppato in collaborazione con un team di programmatori, è composto da un microfono, un auricolare e un software basato su modelli linguistici di ultima generazione.
Ogni volta che Avital si trovava a interagire con qualcuno, il sistema ascoltava la conversazione, elaborava le possibili risposte e le restituiva all’orecchio suggerimenti pronti all’uso. L’artista poteva accettarli integralmente, modificarli o ignorarli.

«All’inizio sembrava un gioco – racconta – ma presto mi sono accorta che l’intelligenza artificiale stava plasmando il mio modo di comunicare, i miei tempi di risposta, persino la mia espressività».

La trasformazione dell’identità

Secondo Meshi, vivere costantemente accompagnata da GPT-me ha significato mettere alla prova i confini della propria identità.
«Ero sempre io a parlare, ma non completamente. Alcune frasi, alcuni concetti, erano suggeriti dalla macchina. Dopo un po’, non ero più sicura di dove finisse la mia voce e iniziasse la sua».

Un ibrido tra umano e artificiale, una “nuova persona” che esisteva solo nell’interazione quotidiana: metà biologa, metà intelligenza artificiale.

Le reazioni degli altri

Le persone che hanno interagito con Avital durante l’esperimento hanno avuto reazioni contrastanti. Alcuni si sono sentiti spaesati, percependo una sorta di freddezza artificiale nelle risposte. Altri hanno trovato le sue argomentazioni più incisive, più pronte, quasi brillanti.
«Era come se stessi parlando con due persone allo stesso tempo – mi hanno detto in molti», spiega Meshi. «Una parte era riconoscibilmente mia, l’altra sembrava filtrata, migliorata, resa più efficace dall’IA».

Tra arte e ricerca scientifica

La sua formazione di biologa comportamentale l’ha spinta a documentare con rigore scientifico l’esperimento: interviste, diari giornalieri, osservazioni dei cambiamenti nelle interazioni sociali. Ma, allo stesso tempo, come artista, ha trasformato l’esperimento in performance, portandolo in gallerie e conferenze dedicate ai nuovi media.

«Il mio obiettivo non era dimostrare la superiorità dell’intelligenza artificiale sull’essere umano, ma esplorare cosa accade quando due identità si fondono», spiega.

Questioni etiche e filosofiche

L’esperimento di Avital solleva domande cruciali: cosa resta della nostra identità quando deleghiamo a un algoritmo parte del nostro pensiero? Fino a che punto possiamo considerare “nostre” le parole che pronunciamo se sono state suggerite da un sistema esterno?
Per la filosofa della tecnologia Sherry Turkle, «queste pratiche non sono solo artistiche: sono un laboratorio etico in cui osserviamo in anticipo le dinamiche che la società vivrà su larga scala».

Intelligenza aumentata o perdita del sé?

Il dibattito si divide: c’è chi vede in GPT-me un esempio di intelligenza aumentata, in cui la tecnologia diventa un alleato per migliorare le capacità umane, e chi invece lo interpreta come un rischio di erosione dell’autenticità.
«In certi momenti mi sono sentita più sicura, più capace di comunicare. Ma in altri ho percepito una perdita: come se stessi cedendo una parte del mio io alla macchina», confessa Meshi.

L’esperimento come specchio della società

Non è un caso che l’esperimento arrivi in un momento in cui milioni di persone usano quotidianamente assistenti virtuali, chatbot e strumenti di intelligenza artificiale generativa. GPT-me è solo una versione estrema di una dinamica già in corso: quella di affidare alla tecnologia la mediazione delle nostre parole, dei nostri pensieri e persino delle nostre emozioni.

Un futuro di identità ibride?

Meshi non ha dubbi: «Nei prossimi anni, vedremo sempre più persone sperimentare forme di fusione con l’IA. Non sarà fantascienza, ma quotidianità».
L’artista però mette in guardia: «Dobbiamo chiederci non solo cosa possiamo fare con l’IA, ma cosa vogliamo fare. Quale parte di noi siamo disposti a condividere o a perdere».

Conclusione

La storia di Avital Meshi è molto più di un esperimento artistico: è un viaggio dentro il confine tra umano e artificiale, un territorio ancora incerto in cui si gioca il futuro della nostra identità.
La sua esperienza con GPT-me ci ricorda che la tecnologia non è neutra: può trasformare la nostra voce, i nostri rapporti, la nostra stessa percezione di chi siamo.

E forse la domanda più urgente non è se l’IA cambierà la nostra vita, ma quanto siamo pronti a farci cambiare da lei.

 

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