Niente obbligo di mantenere il figlio che finisce gli studi
ATTUALITASentenza della Cassazione: il giovane che conclude il liceo o l’università deve rendersi autonomo e trovarsi un lavoro.
È la fine dei «bamboccioni», per usare l’espressione che usò nel 2007 l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa: una volta concluso il percorso scolastico , che si tratti del liceo o dell’università, il figlio è obbligato a trovarsi un lavoro per potersi mantenere , perché il genitore non è più tenuto a farlo . Lo ha appena stabilito la Cassazione [1] .
I giudici non distinguono tra le famiglie che possono permettersi economicamente di avere i ragazzi seduti tutto il giorno sul divano e quelle che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e avrebbero bisogno di un reddito in più: la Suprema Corte ha sancito l’ obbligo del figlio a rendersi indipendente , anche se non può svolgere il lavoro che vorrebbe: avrà tutto il tempo, sostengono i giudici, per trovare il mestiere della sua vita.
Il concetto che difende la Cassazione è semplice: «Il figlio non può pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore». Quindi, la sentenza impone di passare dal principio del «diritto ad ogni possibile diritto» a quello del «dovere». Dall’assistenzialismo all’autoresponsabilità.
In questo contesto, la Corte sostiene che la mancanza di un lavoro non equivale automaticamente a non potersi mantenere da soli. E che continuare a finanziare un figlio che non fa niente dopo aver finito gli studi si traduce in una disparità di trattamento «ingiustificata e ingiustificabile» nei confronti di quei giovani che si sono resi autonomi e che poi hanno perso il lavoro.
Secondo la sentenza della Cassazione, la capacità lavorativa intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro si acquisisce con la maggiore età. Da quel momento, la legge presuppone l’autonomia «ed attribuisce piena capacità lavorativa, da spendere sul mercato del lavoro, tanto che si gode della capacità di agire (e di voto)». Non è obbligatorio cominciare a lavorare a 18 anni per chi intende proseguire gli studi per avere una laurea o un altro titolo. Lo è invece – affermano i giudici – per chi appende definitivamente al chiodo i libri e sconfina in quello che la Corte ha definito «abuso del diritto»: il diritto al mantenimento del figlio non può sorgere «già abusivo» o «di mala fede».