Noland, il primo paziente Neuralink con un chip nel cervello: “Legge i pensieri, so quali sono i rischi

SCIENZA

Noland, il primo paziente Neuralink con un chip nel cervello: “Legge i pensieri, so quali sono i rischi


L’inizio di una nuova era

Quando Noland Arbaugh è apparso in videoconferenza muovendo un cursore sullo schermo senza usare mani o joystick, il mondo ha capito che stava assistendo a un momento storico. Non era un film di fantascienza, non era un prototipo in laboratorio: era la realtà di un ragazzo di 29 anni che, dopo un tuffo in piscina finito male, vive paralizzato dal collo in giù.

“Non è magia, è tecnologia. Ma per me è come rinascere” ha detto sorridendo, mentre navigava tra le pagine di Wikipedia usando soltanto i pensieri.

Noland è il primo paziente al mondo a vivere con un chip Neuralink nel cervello. Un esperimento che durerà sei anni e che potrebbe aprire un capitolo del tutto nuovo nella storia della medicina, ma anche della società.

Neuralink: il sogno (e l’ossessione) di Elon Musk

Dietro questo esperimento c’è Neuralink, l’azienda fondata nel 2016 da Elon Musk con un obiettivo tanto ambizioso quanto controverso: creare un ponte diretto tra cervello e computer.
Musk ha più volte dichiarato che il suo scopo non è solo curare le malattie neurologiche, ma anche “garantire che l’umanità resti competitiva con l’intelligenza artificiale”.

Neuralink non è la prima realtà a lavorare su interfacce cervello-computer: università e centri di ricerca portano avanti da decenni studi in questo campo. Ma la forza dell’azienda di Musk sta nella capacità di attrarre investimenti, concentrare talenti e spingere verso una scalabilità industriale di ciò che finora era rimasto confinato alla ricerca accademica.

L’operazione

Il chip di Neuralink, chiamato “Telepathy”, è grande quanto una moneta da due euro. Viene inserito direttamente nella corteccia cerebrale attraverso un intervento realizzato da un robot-chirurgo capace di collegare 64 fili sottilissimi, ognuno dei quali porta 16 elettrodi. In totale, più di mille punti di contatto con i neuroni.

Il processo è talmente delicato che nessuna mano umana potrebbe eseguirlo con la stessa precisione. Il robot evita i vasi sanguigni, riducendo i rischi di emorragie, e posiziona i fili nei punti strategici per catturare i segnali cerebrali legati al movimento.

Dopo l’impianto, il chip comunica senza fili con un computer esterno, trasmettendo i dati raccolti. Da lì entra in gioco l’intelligenza artificiale, che impara a riconoscere i pattern neuronali e a tradurli in comandi digitali.

“Ho riavuto un pezzo di libertà”

Per Noland, la differenza è enorme. Prima non poteva muovere un cursore, scrivere, navigare o leggere senza l’aiuto costante di qualcun altro. Ora può tornare a farlo, anche se con lentezza e con limiti tecnici.

“Non è perfetto – racconta – ma posso fare cose che non immaginavo di poter rifare. Passare ore a leggere su internet, scrivere messaggi, perfino giocare a scacchi. Non è solo tecnologia: è indipendenza”.

I primi intoppi

Non tutto è andato liscio. Nei primi mesi, alcuni dei fili inseriti nel cervello si sono spostati, compromettendo la qualità dei segnali. Neuralink ha dovuto intervenire con aggiornamenti software per compensare la perdita.

“È normale che ci siano complicazioni – spiega la neurologa statunitense Karen Rommelfanger – siamo davanti a un dispositivo sperimentale, mai testato prima su esseri umani. Ogni problema diventa un banco di prova”.

I rischi clinici

Gli esperti avvertono che i rischi non sono solo tecnici.
“Il cervello non è un hardware inerte – spiega il neurochirurgo italiano Andrea Paolini – è un organo vivo, che reagisce, si adatta, si infiamma. Inserire un corpo estraneo significa affrontare la possibilità di infezioni, rigetti o microlesioni. Non sappiamo ancora come reagirà nel lungo periodo”.

Neuralink parla di sei anni di sperimentazione, ma la domanda è: cosa succederà dopo? Il chip resterà in funzione? Sarà sostituibile? E cosa accadrà se l’azienda decidesse di interrompere il supporto?

Privacy del pensiero

Se i rischi clinici sono gravi, quelli etici lo sono ancora di più.
Un dispositivo che legge i segnali neuronali apre interrogativi inediti sulla privacy del pensiero.

Chi possiede i dati raccolti? Neuralink assicura che tutto è crittografato e usato solo a fini medici, ma in futuro cosa potrebbe accadere se questi dati venissero condivisi, analizzati da assicurazioni, governi o aziende?

“Il pensiero è l’ultima frontiera della libertà individuale” spiega il bioeticista Marcello Ienca. “Se diventa leggibile e traducibile in dati, dobbiamo stabilire regole ferree. Altrimenti rischiamo intrusioni mai viste prima nella vita privata delle persone”.

Le voci della comunità scientifica

Il mondo della ricerca guarda con interesse ma anche con scetticismo.

“Neuralink ha il merito di accelerare un campo che esiste da anni” dice Leigh Hochberg, responsabile del progetto BrainGate, che dal 2004 lavora su interfacce cervello-computer. “Ma non bisogna dimenticare che ci sono decenni di studi accademici alle spalle. Il pericolo è che l’hype mediatico oscuri i progressi scientifici più solidi”.

Altri sottolineano la differenza di approccio: i progetti universitari sono finanziati da fondi pubblici e orientati alla ricerca, mentre Neuralink punta al mercato, con la prospettiva di trasformare l’interfaccia cerebrale in un prodotto di massa.

Mercato e futuro

Se il dispositivo si dimostrasse sicuro ed efficace, il mercato potenziale sarebbe enorme. Secondo un’analisi di Fortune Business Insights, il settore delle interfacce cervello-computer potrebbe superare i 5 miliardi di dollari entro il 2030.

Inizialmente il target saranno pazienti con gravi disabilità: tetraplegici, persone affette da SLA, pazienti post-ictus. Ma nel lungo termine Musk ha dichiarato apertamente di voler rendere la tecnologia disponibile a chiunque desideri “potenziare le proprie capacità cognitive”.

Uno scenario che divide. Da un lato, la promessa di restituire dignità e autonomia a milioni di persone. Dall’altro, il rischio di creare nuove forme di disuguaglianza, tra chi potrà permettersi di “aggiornare” il proprio cervello e chi no.

Un esperimento che riguarda tutti

La storia di Noland non è solo quella di un ragazzo coraggioso. È lo specchio di una trasformazione che potrebbe ridisegnare i confini tra uomo e macchina.

Oggi il chip di Neuralink permette a un tetraplegico di navigare su internet. Domani, forse, permetterà a chiunque di scrivere con la mente, comunicare senza parole, archiviare ricordi in un cloud.

E in quel momento non sarà più solo medicina: sarà filosofia, politica, società.

La voce del protagonista

Intervistato dopo i primi mesi di utilizzo, Noland è consapevole di essere al centro di un esperimento storico.

“So che ci sono rischi, so che non tutto è garantito. Ma la mia vita era già cambiata dieci anni fa, quando ho perso il controllo del mio corpo. Questo impianto mi ha ridato un pezzo di libertà. Non so cosa succederà tra dieci anni, ma so che voglio provarci”.

Conclusione

Il caso Neuralink rappresenta il paradosso della modernità: la stessa tecnologia che può restituire speranza a chi l’ha persa, può anche aprire scenari inquietanti.

Il futuro di Noland Arbaugh è ancora incerto, come quello della tecnologia che porta nel cervello. Ma la sua storia resterà, comunque vada, il primo capitolo scritto da un essere umano insieme a una macchina che legge i pensieri.

Un passo che potrebbe cambiare per sempre il significato stesso di cosa vuol dire essere umani.

 

Inserisci il tuo commento