Patto migranti, Von der Leyen presenta il piano: chi non vuole i ricollocamenti pagherà i rimpatri
NEWSSvelato a Bruxelles il progetto della Commissione. «Obbligo di solidarietà»: i Paesi che si oppongono alle redistribuzioni dagli altri Stati Ue dovranno offrire un aiuto economico. La presidente: «Nuovo inizio». Conte: «Bene ma servono certezze»
«È tempo di gestire le migrazioni insieme, con un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Il vecchio sistema di gestione non funziona più. Questo è un nuovo inizio per l’Ue. Oggi proponiamo una soluzione europea per ricostruire la fiducia tra Stati membri e per ripristinare la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di gestire come Unione». Con un discorso poco più lungo di 4 minuti, la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen ha lanciato il nuovo e attesissimo piano europeo su asilo e migrazione. «Bisogna bilanciare molti interessi. L’Europa deve abbandonare le soluzioni ad hoc. Questo pacchetto complesso riflette un ragionevole equilibrio: condividiamo tutti i benefici, condividiamo tutti il fardello. L’Ue ha già dato prova in altri settori della sua capacità di fare passi straordinari per conciliare prospettive divergenti. Ora è tempo di alzare la sfida per gestire la migrazione in modo congiunto, col un nuovo equilibrio tra solidarietà e responsabilità».
Il piano (qui il link a una sintesi del progetto) è stato poi presentato nel dettaglio dal vicepresidente Margaritis Schinas e dalla commissaria Ue, Ylva Johansson. Non prevede i trasferimenti obbligatori di migranti sbarcati nelle coste Ue verso gli altri Paesi dell’Unione europea, come invece richiesto dal Governo italiano, ma dà agli Stati la possibilità di decidere se accogliere i migranti sbarcati altrove o se finanziare il loro rimpatrio. Nel pomeriggio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha scritto su Twitter che il patto è un «importante passo verso una politica migratoria davvero europea», dicendo però che «serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell’Europa. E immediatamente è intervenuta anche la Repubblica Ceca, che ha detto di rifiutare «qualsiasi redistribuzione obbligatoria dei migranti tra i Paesi membri dell’Ue». Il ministro dell’Interno Jan Hamacek (Cssd, democratici sociali) ha escluso di poter accettare ogni forma di obbligo di accoglienza ai migranti: «Siamo contrari. Non saremo d’accordo con nessuna proposta contenente l’obbligo di ricollocamento». Anche se il progetto della Commissione offre un’alternativa.
Screening pre-ingresso
La Commissione propone di introdurre innanzitutto «una procedura di frontiera integrata», che «per la prima volta comprende uno screening pre-ingresso che copra l’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’Ue senza autorizzazione o che sono state sbarcate dopo un’operazione di ricerca e salvataggio», si legge in una nota. Ciò comporterà «anche un controllo sanitario e di sicurezza, rilevamento delle impronte digitali e registrazione nella banca dati Eurodac», già prevista dalle regole in vigore. Dopo lo screening, i migranti «potranno essere indirizzati nella giusta procedura, sia alla frontiera per determinate categorie», sia «nell’ambito di una normale procedura di asilo» per coloro che chiedono lo status di rifugiato. L’obiettivo è di prendere «decisioni rapide in materia di asilo o rimpatrio», promette la Commissione. «Tutte le altre procedure saranno migliorate e soggette a un monitoraggio più forte e al sostegno operativo delle agenzie dell’Ue», che si serviranno anche di un’infrastruttura digitale per monitorare le domande.
Solidarietà «obbligatoria»: o ricollocamenti o finanziamenti ai rimpatri
Il secondo pilastro del nuovo patto chiama in causa i singoli Stati Ue. Questi ultimi «saranno tenuti ad agire in modo responsabile e solidale gli uni con gli altri», come già previsto dai Trattati Ue. «Ogni Stato membro, senza alcuna eccezione, deve agire in modo solidale nei periodi di stress — sottolinea la Commissione — per contribuire a stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari». In relazione alle diverse situazioni degli Stati membri e alla pressione dei flussi migratori, la Commissione propone «un sistema di contributi flessibili da parte degli Stati membri» che potranno aprire le porte alla «ricollocazione dei richiedenti asilo dal Paese di primo ingresso», ma anche farsi carico del rimpatrio «di persone senza diritto di soggiorno» (con contributi da 10 mila euro a persona) o offrire «varie forme di supporto operativo». Il nuovo sistema, come quello in vigore, si basa quindi su forme di sostegno su base volontaria, ma «nei momenti di pressione sui singoli Stati membri saranno richiesti contributi più rigorosi, sulla base di una rete di sicurezza». Quest’ultima si reggerà su «un meccanismo di solidarietà» che coprirà «lo sbarco di persone a seguito di operazioni di ricerca e soccorso, pressioni, situazioni di crisi o altre circostanze specifiche».
Le partnership con i Paesi extra-Ue
Il terzo pilastro è quello delle partnership coi Paesi extra-Ue. Questi «aiuteranno ad affrontare sfide condivise come il traffico di migranti», ma anche «a sviluppare percorsi legali» di ingresso nei Paesi Ue e garantiranno «l’efficace attuazione degli accordi e delle disposizioni di rimpatrio». L’Ue e suoi Stati membri «agiranno in unità utilizzando un’ampia gamma di strumenti per sostenere la cooperazione con i Paesi terzi in materia di rimpatri». La Commissione mira anche a rafforzare il controllo delle frontiere esterne con il Corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea, il cui inizio delle attività è previsto per il primo gennaio 2021.
Il piano della Commissione ora dovrà essere approvato dagli Stati membri e dovrebbe sostituire il regolamento di Dublino, da anni molto criticato perché impone il criterio del «primo Paese d’arrivo» per decidere quali Stati debbano occuparsi dell’identificazione e soprattutto della richiesta d’asilo di chi proviene da un altro continente. Dal 2015 le pressioni migratorie hanno generato grandi tensioni sulla gestione di questi flussi tra i Paesi europei, divisi tra chi chiedeva maggior solidarietà (tra cui l’Italia, che voleva i ricollocamenti obbligatori) e chi non accettava alcuna redistribuzione.