Quali sono i rischi del taser per il cuore

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Quali sono i rischi del taser per il cuore


Due morti in due giorni: la polemica si riaccende

Due persone decedute a poche ore di distanza dopo essere state colpite da un taser. È bastato questo per riaccendere il dibattito in Italia sull’utilizzo dell’arma a impulsi elettrici in dotazione alle forze dell’ordine dal 2022. I sindacati di polizia la difendono come alternativa “non letale” all’arma da fuoco; associazioni per i diritti umani e alcuni medici sottolineano invece i possibili rischi, soprattutto per soggetti vulnerabili.

Il funzionamento del taser

Il taser è un dispositivo che emette una scarica elettrica ad alta tensione ma bassa intensità, capace di bloccare temporaneamente i movimenti di un soggetto attraverso la contrazione involontaria dei muscoli. L’obiettivo dichiarato è neutralizzare senza infliggere ferite permanenti. In pratica, due dardi collegati da fili trasmettono impulsi per alcuni secondi.

“Dal punto di vista fisiologico – spiega il professor Daniele Andreini, cardiologo e docente all’Università di Milano – l’effetto è paragonabile a un crampo diffuso in tutto il corpo. I muscoli si irrigidiscono in maniera simultanea e la persona cade a terra, incapace di controllarsi”.

I rischi per il cuore

Ma cosa succede al cuore in quei secondi? “L’impulso elettrico non si ferma al muscolo scheletrico – chiarisce Andreini –. Può interferire con l’attività elettrica del cuore, in particolare se la persona presenta già fattori di rischio come aritmie, cardiomiopatie, ischemie o semplicemente un cuore debilitato dall’età o da sostanze come cocaina e alcol”.

Uno studio pubblicato sull’American Heart Journal ha dimostrato che la scarica può indurre tachicardia ventricolare in modelli animali. Negli esseri umani i dati sono più controversi, ma i casi di arresto cardiaco documentati dopo l’uso del taser esistono e sono oggetto di indagini medico-legali.

Non tutti reagiscono allo stesso modo

Il taser, sottolineano gli esperti, non ha lo stesso effetto su ogni individuo. “Un soggetto giovane e sano in genere sopporta la scarica senza conseguenze – prosegue Andreini –. Ma se parliamo di persone con cardiopatie, anziani, soggetti sotto l’effetto di droghe stimolanti o con problemi psichiatrici e terapie farmacologiche complesse, il rischio cresce in maniera esponenziale”.

Il tema etico e legale

Le morti recenti hanno riaperto il fronte etico e giuridico. È corretto definire il taser un’arma “non letale”? L’ONU già nel 2007 aveva espresso preoccupazione sull’uso indiscriminato, ricordando che l’arma può essere letale in determinate circostanze.

L’Associazione Antigone, da anni impegnata sui diritti dei detenuti, parla di “zona grigia”: “Il taser viene presentato come sicuro, ma sicuro non è – spiega Patrizio Gonnella, presidente –. I rischi non possono essere ignorati, soprattutto se parliamo di persone già in condizioni di fragilità”.

Le forze dell’ordine: “Alternativa necessaria”

Di tutt’altro avviso i rappresentanti della polizia. “Ogni giorno i nostri uomini affrontano situazioni di estrema pericolosità – spiega il segretario del sindacato Sap –. Il taser riduce la necessità di usare la pistola e ha già evitato numerosi incidenti. Senza, oggi conteremmo più feriti, sia tra gli agenti che tra i cittadini”.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, dal 2022 al 2024 in Italia sono stati registrati circa 3.000 utilizzi del taser, nella maggior parte dei casi senza conseguenze gravi. Ma la statistica non cancella la percezione di rischio quando si verificano morti ravvicinate.

Esperienze internazionali

Negli Stati Uniti, dove il taser è in uso dagli anni ’90, la questione è dibattuta da tempo. Amnesty International ha documentato oltre 500 decessi correlati, sebbene non sempre sia stato possibile dimostrare un nesso diretto. In Regno Unito e Canada, linee guida più stringenti limitano l’utilizzo su soggetti vulnerabili.

Verso un protocollo italiano più rigido?

Gli episodi recenti potrebbero spingere il Viminale a rivedere i protocolli. Si discute, ad esempio, di introdurre obblighi più rigidi: vietarne l’uso su minori, donne in gravidanza, anziani sopra i 65 anni e soggetti con evidenti problemi cardiaci o sotto effetto di sostanze.

La parola al cardiologo: prudenza

“Il punto centrale – conclude Andreini – è che nessun medico può garantire al cento per cento che una scarica elettrica non provochi conseguenze fatali in un soggetto fragile. Definirlo ‘non letale’ è quindi scientificamente impreciso. L’unica definizione corretta sarebbe: a basso rischio di letalità, ma non privo di rischi. E in medicina questo fa una grande differenza”.

 

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