Giuseppe Conte, altro che "avvocato del popolo": ecco chi erano i suoi clienti
SOCIETAUna società il cui capo è finito in carcere, un gruppo energetico che sfrutta incentivi statali. E non solo: vi raccontiamo per chi ha lavorato il presidente del Consiglio
Lo aspetta un futuro da «avvocato del popolo italiano», come
ha promesso in diretta tivù. Finora però il nuovo premier Giuseppe
Conte si è distinto
soprattutto per aver difeso gli interessi milionari di grandi
aziende. E in almeno un
caso Conte è diventato il professionista di fiducia di un uomo d’affari come Giuseppe
Saggese, arrestato con
l’accusa di essersi arricchito facendo la cresta sulle tasse, quelle pagate dai
cittadini ai loro comuni di residenza.
Nel 2009, il futuro presidente del Consiglio ha rappresentato
Saggese in alcuni collegi arbitrali. Tempo pochi mesi e l’imprenditore viene
travolto dalle perdite e nel 2012 finisce la sua carriera in carcere. Le accuse
sono pesanti: decine di milioni di euro spariti, intascati da chi si è tenuto
le tasse reclamate da centinaia di amministrazioni locali. Tributi Italia, la
società di Saggese, offriva un servizio chiavi in mano per riscuotere le
imposte comunali, dall’Imu alla tassa per i rifiuti, fino alle concessioni per
l’occupazione dello spazio pubblico.
Un successone, da principio. Per quasi un ventennio, come
hanno ricostruito le indagini, Tributi Italia ha goduto di ottimi appoggi anche
a Roma, al vertice dell’amministrazione fiscale. Il castello di carte cade miseramente
nel 2012, quando l’imprenditore viene arrestato con l’accusa di peculato e
appropriazione indebita. Prima del crack, tra il 2009 e il 2010, Saggese era
già finito in rotta di collisione con alcuni comuni, a cui chiedeva un aumento
dell’aggio cioè dei compensi per la riscossione. La controversia venne affidata
a un collegio arbitrale e in almeno tre casi, ad Alghero, a Partinico (Palermo)
e Acate (Ragusa) il professionista chiamato a rappresentare Tributi Italia fu
proprio Conte. Nel 2009, quando il futuro presidente del Consiglio prese le
parti di Saggese, il suo cliente aveva già alle spalle più di un incidente con
la giustizia. Nel 2000 e poi ancora nel 2009, due diverse procure della
Repubblica, prima Roma e poi a Velletri, avevano chiesto e ottenuto il suo
arresto, in entrambi i casi poi revocato dal Gip.
Con l’inchiesta penale del 2012, nata a in Liguria, a
Chiavari, e in seguito trasferita a Roma, si chiude la parabola di Tributi
Italia, che va in fallimento, mentre il presidente e fondatore dell’azienda, a
oltre sei anni di distanza dal crack, risulta ancora in attesa di giudizio.
Navigano invece con il vento in poppa le società della
famiglia pugliese Marseglia, con cui il
presidente del Consiglio vanta stretti rapporti personali e professionali.
Partito come produttore di olio, Leonardo Marseglia, 72 anni, salentino di
Ostuni, adesso tira le fila di un gruppo con quasi un miliardo di euro di
attivo che viaggia al ritmo di 50 milioni di euro l’anno di profitti. Non solo
oleifici, quindi, ma alberghi, centri turistici, immobili di pregio in diverse
città italiane, comprese Roma e Milano. Gran parte degli utili provengono dalla
produzione di energia, grazie a numerose centrali elettriche, alcune delle
quali alimentate a biomasse, soprattutto oli vegetali.
La rincorsa dei Marseglia ha preso velocità nel 2010 quando
la famiglia pugliese, grazie a una complessa operazione finanziaria, ha
riportato in patria il controllo di attività per un valore di circa 190
milioni. Si parte ad aprile 2010: la Kirkwall Corporation, con base nel
paradiso fiscale delle Antille olandesi, trasferisce la propria sede in
Lussemburgo per poi scomparire dopo la fusione con la propria controllata
Ludvika immobiliers di Amsterdam. Il cerchio si chiude a fine 2010 quando quest’ultima
società olandese viene assorbita dalla holding dell’imprenditore di Ostuni.
Più di recente, nel 2015, i Marseglia (insieme a Leonardo c’è
il figlio Pietro) si sono conquistati un posto al sole a livello nazionale. Le
cronache finanziarie si sono accorte di loro grazie all’acquisto del Molino
Stucky di Venezia, il lussuoso hotel sull’isola della Giudecca rilevato tre
anni fa dal fallimento del gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista
Caltagirone. A novembre del 2015 Marseglia ha nominato Conte, pure lui di
origini pugliesi, nel consiglio di amministrazione della Ghms (Grand Hotel
Molino Stucky), la società che gestisce l’albergo veneziano. È un consiglio
extra small, solo tre membri: insieme al premier e allo stesso Marseglia
troviamo l’amministratore delegato Antonio Giannotte, manager di
fiducia dell’azionista.
Intervistato
nei giorni scorsi da “la Repubblica”, l’imprenditore ha minimizzato i suoi rapporti con
Conte, descrivendo l’incarico in Ghms come il frutto di una conoscenza
occasionale nata sulle spiagge di Rosa Marina, la località turistica non
lontana da Ostuni dove tra l’altro Marseglia possiede un resort di lusso. «Una
nomina proforma», ha spiegato il proprietario dell’hotel Molino Stucky. Conte,
ha detto, «non è mai venuto nemmeno a una riunione». I documenti ufficiali
contraddicono questa versione dei fatti. Il 25 settembre dell’anno scorso il
futuro presidente del Consiglio ha partecipato in audioconferenza all’assemblea
di Ghms che aveva all’ordine del giorno, tra l’altro, l’approvazione del
bilancio 2016 della società.
Carte alla mano, si può dire che l’assistenza
di un legale con l’esperienza di Conte faceva molto comodo a Marseglia, per mesi
impegnato nelle complesse trattative che hanno portato all’acquisto del
lussuoso hotel veneziano. Alla fine è arrivato il via libera delle banche
creditrici di Bellavista Caltagirone, a cominciare da Unicredit, esposte in
totale per circa 250 milioni di euro. Il compratore si è fatto carico di parte
dei debiti e come garanzia gli istituti di credito si sono presi in pegno le
quote di Ghms, proprietaria dell’albergo.
Questo però è solo il primo tempo di una partita che vale in
totale quasi mezzo miliardo. L’anno scorso, infatti, Unicredit aveva
sponsorizzato anche un’ altra importante acquisizione di Marseglia. Siamo
sempre a Venezia e questa volta l’imprenditore puntava al Ca’ Sagredo, hotel di
lusso ospitato da Palazzo Morosini sul Canal Grande. L’operazione si è però
fermata per cause di forza maggiore, dopo che l’hotel veneziano è stato messo
sotto sequestro su richiesta della procura di Monza che indaga su Giuseppe
Malaspina, imprenditore di origini calabresi residente in Brianza e finito agli
arresti il 21 maggio scorso. Il Ca’ Sagredo faceva capo proprio a Malaspina ed
era stato messo in vendita dopo il fallimento delle sue società, indebitate con
Unicredit.
Niente da fare allora, almeno per il momento. Marseglia sarà
costretto ad attendere che si sblocchi la partita giudiziaria. Non è solo
questione di hotel, però. Come detto, i profitti del gruppo Marseglia derivano
in buona parte dalla produzione di elettricità da fonti cosiddette pulite.
Un’attività che gode di generosi incentivi statali, fissati per legge.
Difficile immaginare, allora, che all’occorrenza non possa far comodo un amico
a Roma, seduto addirittura sulla poltrona di presidente del Consiglio.