Il Congresso mette sotto accusa i grandi dell'hi-tech: Amazon, Apple, Facebook e Google

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Chiamati a testimoniare alla Camera dei rappresentanti Jeff Bezos, Tim Cook, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai. I colossi della tecnologia sospettati di strozzare la concorrenza. Per ore sottoposti a raffiche di domande

Comincia il processo dell'anno contro  Jeff Bezos  di Amazon,  Tim Cook  a capo di Apple, il cofondatore di Facebook  Mark Zuckerberg  e l’amministratore delegato di Google  Sundar Pichai . Quattro dei grandi sovrani  del mondo digitale  vengono chiamati alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti per rispondere all'accusa di posizione dominante che le loro aziende avrebbero nei rispettivi settori. Dal commercio elettronico ai sistemi operativi per smartphone e ai suoi software, fino ai social network e ai motori di ricerca, la sotto commissione dell'antitrust vuol capire se stanno strozzando la concorrenza. Processo mediatico per ora, l'organo della Camera non ha il potere di intervenire spezzando le aziende come accadde con AT&T nel 1984. Ma è un primo passo in quella direzione.

Assieme le quattro multinazionali hanno un valore superiore ai cinquemila miliardi di dollari e i capi di imputazione nei loro confronti sono contenuti in oltre un milione di pagine messe assieme in più di un anno di indagini. In realtà ognuna è stata chiamata per motivi differenti, in comune hanno la dimensione giudicata pericolosa. Stranamente manca Microsoft, anche se pochi giorni fa in Europa è stata accusata da Slack proprio di bloccare la concorrenza.

Facebook e Google sono sotto tiro da parte dei conservatori che, Donald Trump in testa, credono censurino i contenuti legati ai repubblicani anche se non sono mai riusciti a provarlo. Apple è sul banco degli imputati per le politiche sull’app store, Amazon per quelle nel settore dell’e-commerce.

L'accusa

I quattro regnanti si sono collegati da remoto con la sotto commissione per l'antitrust guidata da  David Cicilline , tutti assieme per la prima volta in un’occasione simile. “La commissione ha iniziato la sua investigazione un anno fa raccogliendo milioni di documenti da diversi Paesi”, ha esordito Cicilline. "L’obbiettivo è valutare la posizione dominante di queste compagnie”, ha proseguito. La sua tesi è che le loro decisioni hanno effetto sull’economia e sulla società. Controllano il mercato dei dati e delle merci online imponendo la propria strategia abusando del potere che hanno. Un potere troppo grande per Cicilline: starebbe distruggendo la concorrenza, l’imprenditoria e violando la privacy dei cittadini. Di fatto questi quattro colossi sarebbero ormai paragonabili ad uno Stato.

La difesa

Comincia Jeff Bezos. Parla dalla sua infanzia in una famiglia che non navigava nell’oro. Ricorda il padre adottivo fuggito da Cuba e gli esordi a Wall Street. Snocciola i risultati raggiunti dalla sua azienda: “L’ottanta per cento degli americani si fida di Amazon. Solo l’esercito e i medici fanno meglio. Il nostro peso nel commercio nel mondo è meno dell’uno per cento e negli Usa è del quattro per cento. Abbiamo più di un milione e 700mila negozi che vendono attraverso di noi e paghiamo il doppio rispetto ai minimi salariali i nostri dipendenti”.

Anche Sundar Pichai inizia dal valore di un Paese che sa accogliere le persone, lui del resto è un immigrato indiano che si è fatto da solo. Sostiene che i servizi di Google avrebbero permesso a milioni di americani di dar vita a commerci e migliorare la propria condizione. “Negli ultimi cinque anni, abbiamo investito nove miliardi di dollari in ricerca. La supremazia americana nella tecnologia non è scontata”, suggerendo chiaramente che attaccare la Silicon Valley significa di fatto azzoppare il primato Usa.

Tim Cook si lancia nella difesa della filosofia Apple e dell’app store, del quale viene ricordata la sicurezza. L’amministratore delegato della Mela cita anche l’aiuto che la sua azienda dà agli sviluppatori. “Solo sessanta app sullo store sono nostre. Condivido la tesi della commissione che la concorrenza sia fondamentale ed è in questa direzione che lavoriamo”.

“Facebook è nata con l’idea di dare una voce alle persone e aiutare i piccoli commercianti”, esordisce Mark Zuckerberg. “Capisco che ci siano preoccupazioni, ma la nostra azienda ha tanti concorrenti come TikTok, la stessa Apple, Amazon, Google”. Tutto questo, secondo Zuckerberg, sarebbe già piena concorrenza. Cita la polemica politica sulla presunta censura di certi contenuti: non sarebbe materia dell’antitrust e in ogni caso Facebook si baserebbe sui valori democratici degli Stati Uniti, cosa che secondo lui non si può dire di altri social network.

Le domande

E’ un fiume in piena. Dalla sotto commssione e da deputati e senatori iscritti a parlare arriva una sequenza infinita di chiarimenti non sempre pertinenti e a volte politicamente orientati, che hanno però spaziato a trecentosessanta gradi per ore: dalla partica di Amazon di vendere i suoi altoparlanti smart sottocosto alla presunta censura di Google e Facebook nei confronti dei contenuti della destra, fino al coinvolgimento nel mercato cinese, alle politiche commerciali tese a mantenere una posizione dominante o allo sfruttamento della manodopera a basso costo.

Alcune accuse, come quella di Cicilline nei confronti di Google che avrebbe rubato contenuti da altre compagnie, vengono da testimonianze raccolte. Altre sono tesi non supportate da prove. Più volte i quattro sono costretti a tergiversare, non riescono a rispondere su casi specifici, prendono tempo. Viene puntato il dito sulla sinergia fra Facebook e Instagram e sull’acquisizione di YouTube da parte di Google. In entrambi i casi sarebbero state violate le regole dell’antitrust, anche se al tempo nessuno disse nulla. A Bezos vengono contestate le cifre date durante la sua difesa: se si considerasse solo il commercio elettronico, il peso di Amazon negli Usa sarebbe del 40 per cento e nel campo del cloud avrebbe usato la sua posizione per eliminare i concorrenti pericolosi. In situazioni differenti, tutte e quattro le aziende si sarebbero macchiate di pratiche poco ortodosse.

La fine di un'era

Una parte del Congresso degli Stati Uniti guarda ormai la Silicon Valley con sospetto. E quello che è andato in scena è l’inizio di un processo contradditorio che però probabilmente porterà a nuove regole nel mondo del digitale da questa come dall'altra parte dell'oceano. Dalle elezioni presidenziali del 2016, con gli scandali scoppiati per le violazioni della privacy, San Francisco e i suoi dintorni si sono popolati di ombre. Anche se in borsa queste compagnie hanno continuato a crescere raggiungendo livelli mai visti prima, le cose potrebbero cominciare a cambiare.  Brad Smith , il presidente di Microsoft, due anni fa disse: “Se si sviluppano tecnologie in grado di cambiare il mondo, bisogna sapere che prima o poi il mondo tenterà di mettere delle regole”. A quanto pare è quello che sta accadendo.

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