Unione Europea a rischio: perché sta per saltare tutto
POLITICALa sfida epocale che stiamo vivendo non è compresa da Bruxelles; il Consiglio europeo si ostina a non decidere, negando gli aiuti. Così la casa comune scricchiola e rischia di crollare.
L’Europa “casa comune” è un sogno svanito: l’emergenza
Coronavirus ha messo a nudo gli egoismi degli Stati nazionali. All’ultimo
Consiglio europeo, che riunisce i leader dei 27 Paesi membri, si sarebbero
dovuti varare gli aiuti urgenti, un programma straordinario di interventi
garantito dalle risorse dell’Unione.
Le vie (e i soldi) c’erano: la
strada migliore era ed è quella degli Eurobond, un’emissione straordinaria di
titoli di Stato per condividere, tutti insieme, il maggior debito pubblico
necessario, anzi indispensabile – lo ha detto, per tutti, Mario Draghi –
a garantire la ripresa.
Ma
si è deciso di non decidere: un rinvio di 14 giorni, due settimane, per
pensarci meglio, di fronte a un’emergenza drammatica, epocale, che non può
aspettare questi tempi; dove migliaia di persone stanno morendo per la malattia
e milioni rischiano di morire di stenti perché hanno perso o perderanno il
lavoro, il negozio, l’impresa.
Non solo in Italia ma in tutta
Europa; proprio per questo è incomprensibile la rigidità degli Stati del Nord,
Germania per prima, anch’essi colpiti dall’emergenza ma
che non vogliono fare i conti con la realtà e superare gli stretti parametri
del Trattato di Maastricht, che vietano di indebitarsi oltre misura; ma la
stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva allentato
questi limiti del Patto di stabilità.
Di fronte a questa evidente
realtà non si può dire che non si può adottare gli interventi necessari,
ma piuttosto si deve dire che non si vuole. Di fronte al rifiuto di Bruxelles,
il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha reagito duramente:
“Faremo da soli”, ha dichiarato a caldo.
Una
linea sposata da altri Paesi: la Francia si è associata all’Italia, rompendo
l’asse franco-tedesco che guidava l’Unione ai “tempi d’oro” in cui le cose
andavano bene, o più precisamente bene per i Paesi ricchi e male soltanto per
alcuni Paesi poveri, come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia. Paesi
costretti a bussare alle porte della Ue per ottenere aiuti, deroghe ai limiti e
ai parametri di bilancio e talvolta in cambio ricevevano la Troika, la
commissione di vigilanza incaricata di controllare gli eventuali sforamenti
dalla linea, come un arbitro pronto a fischiare e ad annullare il gioco.
La
crisi attuale non ha precedenti nella storia: anche un europeista convinto,
come l’ex premier Romano Prodi, ha esclamato: “Ma se non c’è solidarietà adesso
che Europa è ?”. Prodi sa bene come vanno e come sono sempre andate le cose
Bruxelles ma il suo stupore è dato dal fatto che i vertici dell’Unione non
sembrano rendersi conto che stiamo attraversando la crisi più profonda della
storia, quella dopo la quale non solo l’Europa, ma il mondo intero, non sarà
più lo stesso.
I
nodi vengono al pettine quando, solo adesso di fronte alla situazione
eccezionale che stiamo attraversando, tutti notano che l’Unione è incompleta,
frammentata, poco convinta, limitata all’aspetto economico e sul solo versante
commerciale, ma senza che sia mai stata raggiunta l’integrazione politica.
Una
casa a cui mancano le fondamenta e che rischia di crollare sotto il vento della
tempesta forte che si sta verificando. Eppure gli strumenti di intervento per
fronteggiare l’emergenza ci sarebbero, ma i Paesi del Nord non vogliono usarli;
dominati dai loro egoismi nazionali, non sono disposti a fare alcun passo
avanti di solidarietà verso i membri attualmente più colpiti dalla crisi.
Gli Stati del Sud, tra cui
Italia, Francia e Spagna, reagiscono con dure proteste e lo scontro è in atto e
tuttora aperto. Forse, come scrivevamo in adesso si profila
l’Italexit descrivendo la situazione e le sue probabili
conseguenze, c’è ancora il modo per recuperare, ma la fiducia dei cittadini
europei, in Italia e non solo, si è definitivamente incrinata.
A
ben vedere il problema di fondo è quello di chi – come ha detto Conte alla
cancelliera tedesca Angela Merkel “continua a guardare il mondo con gli occhi
di ieri”. Se il mondo sta cambiando le risposte devono essere diverse da quelle
consuete; adottare quella flessibilità che invece manca e che la Germania non
sembra disposta a realizzare e neppure a concedere.